Mentre in Italia le aziende continuano a chiudere (circa 55 ogni giorno, 4589 dall’inizio dell’anno secondo il Sole 24Ore), nel mondo la tendenza è opposta: nella sola Cina il numero di imprese è aumentato del 80% nel periodo 2004-08.
Certo non è il numero delle imprese a determinare la qualità di un’economia o la ricchezza di un paese.
Non abbiamo bisogno di una nuova Parmalat o di altre Lehman Brothers. Clamorosi fallimenti aziendali hanno infatti bruciato pezzi di economia globale: il FMI calcola che la crisi finanziaria ha prodotto perdite bancarie totali di 2.000 miliardi dollari. Inoltre hanno anche portato ad un crollo della fiducia nel mondo degli affari.
Osservando quali sono i fattori di questa grande crisi delle imprese c’è da chiedersi se sia meglio un’azienda di capitali o meno. Questo perchè bisogna riflettere sull’idea che la funzione principale della società sia quella di aumentare il valore delle azioni e basta. In questa valutazione non si può prescindere dalla funzione sociale che le imprese hanno. Dalle ricadute che ogni scelta può avere sui dipendenti, ma anche sul contesto socio-economico in cui l’azienda opera.
Molte aziende familiari nel tempo hanno perso questa loro peculiarità avendo, le famiglie fondatrici, dovuto vendere azioni per finanziare la crescita. Ciò ha portato ad una separazione tra proprietà e controllo. Certamente ci sono anche dei benefici: maggior liquidità, impiego di manager professionisti e limiti imposti alla stessa famiglia nella gestione. Ma a volte solide aziende con secoli di storia alle spalle rischiano di essere acquisite da grandi gruppi e il loro destino è determinato da un ristretto numero di persone, che per poco tempo ne hanno posseduto una quota.
Che cosa si può fare per mantenere una gestione familiare e contemporaneamente una capacità di sviluppo tipica dell’azionariato diffuso?
Certamente sarebbe opportuno inserire negli atti costitutivi vincoli ad una visione di lungo periodo per prediliga la crescita organica al guadagno immediato e ad esagerate forme di speculazione o piuttosto rilasciare due tipologie di azioni (di voto e senza diritto di voto) come fecero i fondatori di Google con il chiaro intento di rendere più difficile elementi esterni all’azienda di prendere in consegna o influenzare Google stessa.
Al di là delle varie formule societarie ciò che sempre più dovrà essere preso in considerazione da chi fa impresa è che un’approccio etico dovrà sempre essere preferito ad uno speculativo perchè da questa scelta passerà il futuro stesso dell’azienda.
Vittorio Nascimbene