Abbiamo recentemente parlato di New Economy e del peso che in questo momento ha nel nostro Paese dilaniato dalla crisi. Ci siamo soffermati sull’importanza delle nuove tecnologie e dell’era di internet. Abbiamo parlato di nomadismo digitale. Bene, c’è qualcosa che dipende strettamente da questi concetti e che in operatività assoluta diventa linfa vitale per la parte lavorativa dell’Italia e non solo. È quello che oggi è chiamato l’universo delle start up.
In Italia, da qualche anno, finalmente si diffonde una cultura diversa, innovativa, per la quale si concede spazio ai giovani e alle loro idee, ragazzi che hanno mezzi e strumenti per svilupparle senza cadere nell’errore di credere che un’idea da sola possa non essere l’inizio ma anche la fine di un progetto. È importante avere un quadro chiaro della fattibilità dell’idea stessa. Giovani, ottima conoscenza della Rete e di una lingua straniera, se è inglese è meglio, non hanno una scrivania e una sedia dalle quali svolgere le proprie attività e io aggiungerei che si distinguono dalla massa per entusiasmo, voglia di emergere, e per il fatto di non avere paura di rischiare per fare qualcosa di diverso.
Consideriamo il concetto di posto fisso. Trovo un lavoro all’interno di una funzione aziendale, frutto delle mie esperienze e delle mie attitudini. Guadagno con fatica e impegno il mio contratto a tempo indeterminato. Quella diventa la mia sicurezza. Qualunque altra cosa passa in secondo piano. Ho trovato un lavoro. Ecco. Partite da questo e pensate che c’è un mondo che viaggia contemporaneamente all’opposto. C’è chi non si pone l’obiettivo di cercarsi un lavoro ma di costruire il proprio futuro attraverso l’impegno investito nelle startup.
Leggendo un articolo sul La Repubblica ho scoperto che ogni anno in Cile si tiene una gara mondiale per i migliori progetti di innovazione e business, vinta, tra l’altro, da un giovane italiano di Venezia, startupper ormai più che collaudato, che vive da dieci anni negli Stati Uniti e che ha dichiarato di essere andato via perché aveva voglia di correre e questo in Italia, paese ancorato a vecchi schemi e rigide procedure, non gli era consentito farlo.
Forse in Italia manca il coraggio, o forse gli ostacoli obiettivi a fare il passo più lungo della gamba impongono psicologicamente agli italiani di mettere da parte il proprio spirito di innovazione e imprenditoriale, anche se oggi le start up in Italia sono in numero sempre maggiore. Gli ultimi dati raccolti promettono bene e io ho fiducia nei confronti di un Paese che ha da offrirci molto soprattutto sul piano lavorativo perché il valore aggiunto dell’Italia sono le risorse, uomini e donne a cui manca un po’ di coraggio. Ma solo per il momento.
Eleonora Maiorana