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La corte di Cassazione ha infatti stabilito che è da ritenere legittimo il licenziamento per giusta causa intimato a un lavoratore che rivolge insulti nei confronti del proprio superiore anche se tale condotta, ai sensi CCNL applicabile, non contiene gli estremi della giusta causa.
Fatti del caso:
Un lavoratore veniva licenziato per aver ingiuriato il proprio superiore gerarchico oltre ad aver fortemente criticato tutti i dirigenti dell’azienda.
In entrambi i primi due gradi di giudizio i giudici accoglievano il ricorso del lavoratore, dichiarando il licenziamento illegittimo e condannando contestualmente il datore di lavoro al reintegro del lavoratore poiché consideravano le parole che il lavoratore aveva rivolto al suo superiore non offensive.
Gli stessi giudici escludevano la fattispecie della insubordinazione, poiché il lavoratore avrebbe ripreso il lavoro dopo l’attacco verbale.
La pronuncia della Corte Suprema:
La Suprema Corte ha ribaltato le decisioni assunte nei precedenti gradi di giudizio e ha dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore, criticando la ricostruzione del concetto di insubordinazione fornito dalla Corte Territoriale.
La Corte Costituzionale nell’esprimere il suo giudizio ha tenuto conto non solo della mancata esecuzione delle disposizioni impartite dai superiori, ma anche la violazione dell’art.2 della Costituzione, ovvero la lesione dell’autorevolezza dei dirigenti da parte del lavoratore.
Inoltre, sebbene la condotta contestata al lavoratore non rientri tra le fattispecie tassative per cui può essere intimato il licenziamento per giusta causa, la sentenza dice che il giudice può rilevare la sussistenza della giusta causa anche nell’ipotesi in cui la condotta del lavoratore abbia violato norme etiche o di vivere comune idonee a compromettere il vincolo fiduciario con il datore di lavoro.
La Corte di Cassazione, pertanto, cassa la sentenza impugnata e rinvia, per la decisione alla Corte di appello di Salerno.
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